Il riscaldamento climatico è qui e ora!

Sandro Fuzzi, ricercatore presso l’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del CNR commenta gli esiti del primo volume del 6° Rapporto di valutazione dell’IPCC

Nelle scorse settimane i media di tutto il mondo hanno dato grande enfasi ai dati emersi dal primo dei tre volumi del 6° Rapporto di valutazione stilato dall’IPCC, il comitato intergovernativo di scienziati voluto dalle Nazioni Unite per il monitoraggio dei cambiamenti climatici.

Gli altri due volumi del rapporto verranno completati entro il 2022, ma già questa prima parte – dedicata al tema “Cambiamenti climatici 2021 – Le basi fisico-scientifiche”, porta all’attenzione generale riscontri decisamente impressionanti.

Secondo quanto gli scienziati dell’IPCC hanno rilevato, prendendo in considerazione e mettendo a confronto migliaia di ricerche effettuate dal 2013 (data di uscita del precedente rapporto) a oggi, la concentrazione di CO2 nell’atmosfera negli ultimi anni ha continuato a crescere, tanto che nel 2019 è risultata la più elevata degli ultimi 2 milioni di anni. Anche gli altri principali gas serra hanno fatto segnare un picco di concentrazione mai toccato negli ultimi 800 mila anni.

Gli effetti di tale escalation si sono fatti evidentemente sentire anche sul clima, tanto che negli ultimi 50 anni la temperatura del Pianeta è cresciuta ad una velocità mai vista nei due millenni precedenti

Non si tratta ovviamente di novità sconvolgenti, ma di conferme di quanto la comunità scientifica interazionale è consapevole da tempo e che i precedenti Rapporti di valutazione dell’IPCC avevano già segnalato.

Quello che ha suscitato scalpore e preoccupazione sono stati piuttosto i termini perentori con cui gli scienziati dell’IPCC si riferiscono alla portata di certi cambiamenti, quali, ad esempio l’innalzamento del livello degli oceani, definiti come “irreversibili in centinaia o migliaia di anni”.

Per meglio comprendere il significato di queste affermazioni abbiamo rivolto alcune domande al professor Sandro Fuzzi, ricercatore presso l’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Bologna, coinvolto direttamente nella stesura del 6° Rapporto di valutazione dell’IPCC (così come dei due precedenti) in qualità di Lead Autor.

Professor Fuzzi Il primo dei tre volumi del Rapporto ha suscitato molto scalpore in particolare per il riferimento esplicito a cambiamenti climatici già in atto e irreversibili in centinaia o migliaia di anni, anche a fronte di una netta riduzione dei gas serra. Si tratta di una novità inattesa o è qualcosa di già noto da tempo alla comunità scientifica?

Non è senz’altro una novità inattesa per la comunità scientifica, prova ne sia il fatto che già si faceva menzione di questi aspetti nei precedenti rapporti IPCC nel 2007 (Quarto Rapporto IPCC) e nel 2013 (Quinto Rapporto IPCC). Senz’altro comunque in questo Sesto Rapporto il cambiamento climatico in atto e l’irreversibilità su scale temporali di secoli di alcune delle sue conseguenze vengono declinati con maggior chiarezza e maggior forza. I cambiamenti climatici che stiamo sperimentando derivano infatti dalle emissioni antropiche clima-alteranti degli ultimi decenni e come tali non sono più recuperabili”.

Questa “irreversibilità” è da intendersi come una condanna senza appello a una crisi climatica dai risvolti drammatici o restano comunque aperti diversi scenari e possibilità di mitigazione?

“Non vi sono condanne senza appello e molto può essere fatto per fare sì che i cambiamenti climatici già in atto si mantengano, a livello anche delle future generazioni, entro limiti gestibili con gli strumenti tecnologici disponibili nelle nostre società. Dalle azioni che verranno messe in campo a partire da oggi dipende l’intensificazione o meno del riscaldamento climatico. Riuscire a mantenere l’aumento della temperatura media globale rispetto al periodo pre-industriale entro 1.5 °C alla fine di questo secolo ci garantisce che la frequenza e l’intensità degli eventi meteorologici estremi (ondate di calore e precipitazioni intense), l’innalzamento del livello del mare e i processi di desertificazione, pur procedendo inevitabilmente nel tempo, rimangano entro limiti gestibili”.

Il rapporto dell’IPCC afferma che solo con una riduzione del 7% annuo delle emissioni di gas serra sarà possibile raggiungere l’obiettivo di limitare l’incremento della temperatura media globale entro gli 1,5 / 2 gradi. Ammesso che si raggiunga una volontà politica condivisa rispetto a questo obiettivo, sarà concretamente possibile raggiungerlo con le tecnologie a nostra disposizione?

“Due sono le date chiave che derivano dagli scenari socio-economici elaborati nel Sesto Rapporto IPCC: il 2030 che deve vedere un abbattimento delle emissioni antropiche clima-alteranti dell’ordine del 50% e il 2050, limite entro il quale si deve raggiungere la cosiddetta “neutralità carbonica”, in pratica l’azzeramento delle emissioni antropiche di composti clima-alteranti. Le politiche per tutto questo dovranno essere decise dai governi di tutto il mondo nella prossima COP26 che si terrà a Glasgow a novembre. Occorre precisare che la maggior parte delle tecnologie necessarie alla riduzione delle emissioni clima-alteranti sono già disponibili e quindi ciò che serve è da una parte la volontà politica di tutti i governi del mondo, dall’altra azioni responsabili da parte di ognuno di noi nelle scelte quotidiane relative a mobilità, utilizzo dell’energia, regime alimentare e gestione dei rifiuti. Occorre ricordare con insistenza che il riscaldamento del clima è un fenomeno del “qui e ora”, non è qualcosa che si riferisce a un ipotetico futuro. I cambiamenti climatici sono già oggi diffusi a livello globale, sono rapidi e in via di intensificazione. Le attività dell’uomo sono responsabili del riscaldamento del clima ed è quindi solo l’uomo che a questo può e deve porvi rimedio. Se la riduzione delle emissioni antropiche dei composti clima-alteranti non sarà massiva, rapida e sostenuta nel tempo non vi è speranza che si possa mantenere l’aumento della temperatura media globale entro il limite di 1.5 °C alla fine di questo secolo rispetto al periodo pre-industriale (ricordiamo che già oggi questo valore si attesta attorno a 1.1 °C)”.

Il rapporto evidenzia come gli oceani siano l’ecosistema sul quale gli effetti del riscaldamento globale si stanno facendo sentire con maggiore evidenza e drammaticità. Quali informazioni emergono rispetto alla situazione di altri ambienti “fragili” come ad esempio quello montano?

“Il Sesto Rapporto IPCC evidenzia con forza che il riscaldamento del clima è già in atto e che i suoi effetti stanno già interessando tutte le regioni della Terra, ovviamente in modi diversi nelle diverse aree del globo. La montagna è senz’altro un ambiente fragile, destinato a subire cambiamenti sostanziali con il progredire del riscaldamento del clima. L’aspetto più evidente dei cambiamenti nelle aree montane è la diminuzione dell’estensione e del volume dei ghiacciai, dai quali miliardi di persone dipendono per l’approvvigionamento idrico. La riduzione dell’estensione dei ghiacciai negli ultimi cinquanta anni non ha precedenti a livello almeno degli ultimi 2000 anni. Ma anche altri sono gli effetti del riscaldamento climatico nei territori montani quali la “migrazione” di specie vegetali e animali verso quote sempre più elevate, che porta a gravi squilibri ecologici con notevoli rischi per la biodiversità di queste aree e per le popolazioni che dalla montagna traggono il loro sostentamento (gestione forestale, agricoltura, turismo, ecc.)”.

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